L'artista

scritto da Diodata
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Testo: L'artista
di Diodata

L’ ARTISTA

La tournée di gennaio era stata un successo. Il capoluogo lombardo l’aveva accolto con calore.
Ma poi era subentrato il periodo pandemico. Una stasi interminabile, un’insopportabile sospensione. Raccontare aneddoti e vita spicciola nei vari salotti televisivi era sbadiglio.
A lui mancava il palcoscenico, il rituale del trucco nel camerino, la percezione degli umori in sala.
Roma era solite facce, solita gente, solito clima.
Così, quando l’amica di Milano gli aveva telefonato per dirgli: “Dai vieni, che andiamo al lago”, lui aveva fatto il valigione e preso la Freccia, col desiderio di rievocare la recente tournée. E poi di immergersi in un’altra atmosfera, di percepire la concretezza del Nord.
Dopo la visita al Duomo e alla Galleria Vittorio Emanuele, era già pronto a caricare il bagaglio sul regionale per Lecco. L’incipit del Romanzo, snocciolato nelle luminarie, gli avrebbe dato quella fitta affettiva di memoria liceale in cui si riverberava il bisogno di incontro e di riconoscimento.
L’amica aveva predisposto per un breve soggiorno presso il Moderno.
Lui si chiedeva come sarebbe stato: se la gente l’avrebbe fermato per salutarlo o per chiedergli l’autografo e che consistenza aveva ora il legame con il pubblico.
Il tour della città prevedeva la visita alla casa di Manzoni e al Palazzo delle Paure in cui era stata allestita la mostra di un amico pittore. Seguiva l’immancabile passeggiata sul lungolago.
Infine, girò per le vie del centro sotto le ghirlande natalizie. Col suo cappottone, nero come i capelli lunghi e tinti, il viso largo, le labbra serrate e rientranti, era inconfondibile.
La gente dietro le museruole gli lanciava qualche distratta occhiata. Qualcuno ammiccava un po’.
Fu rincorso da un senegalese che gli chiese le monetine e lui pensò che per quello fosse facile domandare ciò di cui aveva bisogno.
L'ultima sera, quando uscì dall’albergo, diretto alla stazione con l’amica e la valigia, si sentì un masso dentro al cappotto largo e nero: non udiva nessuno che sopraggiungesse alle sue spalle per salutarlo o anche soltanto per nominarlo.
Allora puntò diritto verso i binari, ostentando sicurezza e gesticolando nell’aria, mentre i sogni evaporavano nelle luci della notte.



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